La musica nella tragedia greca

Maestra Chislova

10/13/20252 min read

La musica antica svolgeva una funzione drammaturgica fondamentale nella tragedia, dove i dialoghi si alternavano a recitazioni cantate e a canti solisti o corali, accompagnati da aulos e kithara. Dalle tragedie di Euripide, come Ifigenia in Aulide e Oreste, ci sono giunti pochi campioni musicali notati. La musica di Oreste rappresenta il risultato di un esperimento musicale maturato dai grandi tragediografi greci.

Dal VI al V secolo a.C., la tragedia greca assimilò molteplici origini musicali e poetiche, combinando epica, canto corale con danza e lirica solista. In questo senso, la tragedia può essere vista come un sintesi superiore delle arti, che un tempo coesistevano in un unicum sincretico (poesia e musica, plasticità e musica).

Le rappresentazioni delle tragedie ai Grandi Dionisie ad Atene nel V secolo avvenivano come competizioni tra tragediografi. Il drammaturgo era allo stesso tempo poeta e musicista, e gestiva personalmente tutte le fasi della rappresentazione. Successivamente, le funzioni di poeta, musicista e attore si separarono. Gli attori erano anche cantanti, e il coro si integrava con movimenti plastici. Tuttavia, non tutte le scene erano ugualmente musicali: i dialoghi si trasformavano in recitazioni cantate – melodrammi – canto. Gli stasimi corali, con forte impatto musicale e plastico, concludevano ogni episodio della tragedia.

I lamenti e i “pianti” degli eroi diventavano spesso kommos, cioè canti comuni tra attore e coro. I Greci svilupparono tecniche musicali specifiche: la scelta di toni e ritmi dipendeva dalla scena. Non meno importante era l’organizzazione sociale del coro, che rappresentava la morale del popolo, il giudizio collettivo o il saggio consiglio agli eroi. Il coro era composto inizialmente da 12, poi 15 membri, selezionati tra gli appassionati, e il loro addestramento era considerato un onore civico per i cittadini ateniesi.

Non ci sono campioni musicali dalle tragedie di Eschilo e Sofocle, ma dai testi si può intuire il carattere della musica e il suo ruolo scenico. In Eschilo predominava la musica corale, con una lirica narrativa corale coerente con la sua drammaturgia. I parodoi introducevano le tragedie in forma narrativa e lirica, mentre ogni episodio terminava con uno stasimo corale, probabilmente cantato e accompagnato da movimenti plastici. Nelle scene di kommos, il ruolo del coro si faceva più drammatico. Ad esempio, in Agamennone (I parte della trilogia Orestea), Clitennestra discute con il coro, lamentandosi del marito e piangendo la figlia Ifigenia; il coro reagisce, creando una scena di grande intensità musicale e drammatica.

In Sofocle, il ruolo della musica e il suo carattere cambiano: lo sviluppo drammatico è più teso, aumenta l’importanza dell’attore-solista, mentre i cori si fanno più lirico-drammatici, meno epici e più coinvolti nello sviluppo dell’azione, accentuando l’intensità emotiva o rallentando la tensione drammatica. In Euripide, le emozioni personali emergono anche nei cori, creando un nuovo stile musicale, con flessibilità della declamazione e uso di intervalli engarmonici (quarti di tono).

È giunto fino a noi solo un frammento musicale dalla tragedia Oreste: il primo stasimo, in cui il coro esprime orrore per l’omicidio materno di Oreste. La musica di Euripide dava rilievo al solista, soprattutto nelle scene di kommos, dove la struttura poetica era più libera. I contemporanei la apprezzavano molto, anche se i puristi criticavano i nuovi melismi sofisticati.

Il significato storico della tragedia greca per il futuro non riguarda tanto la musica in sé, quanto la sua natura estetica sintetica e le idee drammatiche, che divennero modello per la creazione dell’opera lirica e, più tardi, per la riforma operistica di Gluck. La musica della tragedia greca, però, rimase quasi sconosciuta, senza influenzare direttamente il corso successivo delle arti.

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